Pian Braccone. Poche vestigia abbandonate testimoniano un’area di grande interesse storico-religioso e si fondono con la natura che in quei luoghi si appropria della sua furia. Questi monti, levigati dall’antico vulcano di Morlupo-Castelnuovo di Porto, intervallati da forre boscate, pianori e ruscelli, sono destinati al pascolo e sono posti sotto la tutela del Parco di Veio. Si possono raggiungere oltrepassando il laghetto di pesca sportiva presso Pian Braccone di Castelnuovo, dove una vecchia mulattiera si insinua nel bosco, risale la dorsale del monte e conduce presso l’antico abitato di Belmonte. Prosegue poi su un altopiano per scendere nel fosso di Costa Frigida e risalire verso monte San Silvestro compreso tra Castelnuovo e Sacrofano. Le guide del Parco di Veio organizzano in questi luoghi molte escursioni per mostrare l’area che in origine fu colonia della fiorente città di Veio e in seguito divenne meta di devozione religiosa.
LE MOLE
Un interessante itinerario naturalistico è costituito dalle Mole. Grazie alla formazione geologica del territorio, di origine vulcanica, nel nostro paese abbondano le falde acquifere. Queste alimentano sorgenti minerali e torrenti che erompono nel fosso di Sant’Antonino. L’abbondanza della portata di questi corsi d’acqua ha fatto sì che per secoli fossero sfruttate simili risorse, captate come energia per macinare il grano, il mais ed altri cereali, sin dal medioevo, quando la disponibilità del frumento e quindi la sua lavorazione stabilivano la ricchezza di un popolo. Notte e giorno le macine giravano per soddisfare le esigenze di agricoltori e fornai mentre lo stato pontificio adottava la tassa sul macinato che il molinaro doveva applicare ad ogni carico di farina.
Lungo il corso del fosso di Sant’Antonino troviamo i resti di tre mole granarie azionate dall’acqua: si tratta della Mola Paradisi, la Moletta di mezzo e la Mola di sopra o del prataccio.
Quest’ultima, di origine medievale, si trova in località Il Prataccio alle pendici del pianoro di Belmonte ed era affiancata da una torre di difesa di cui resta una rara foto di inizio del secolo scorso. Una massiccia costruzione è divisa in tre ambienti voltati a botte e nel più grande vi sono due macine in pietra di basalto e un camino. Nel 1586 la Reverenda Camera Apostolica appena insediata a Castelnuovo provvedeva al restauro. La costruzione è ormai nascosta tra la rigogliosa vegetazione.
La Mola di Sotto o Moletta ha invece una gigantesca diga di 35 metri con una cascata di 10, che scende fragorosa. Anche la moletta fu restaurata dalla Camera Apostolica. Nei pressi è la sorgente ferruginosa del fosso dell’acqua forte. Lungo il suo corso rivoletti e cascatelle regalano strabilianti colorazioni grazie ai minerali presenti nell’acqua.
Della Mola Paradisi abbiamo poche notizie. Anche in questo caso una diga di 26 metri aveva il compito di sbarrare le acque di questo fosso dalla straordinaria portata. Probabilmente non apparteneva alla Reverenda camera apostolica sebbene ebbe una discreta importanza. Nei paraggi un ponte in muratura con una grande arcata permetteva il passaggio ad una stradina che collegava la flaminia alla cassia, mentre l’edificio della mola è ben conservato e diviso all’interno da un’arcata. A terra sono collocate due grandi macine di basalto.
Sul Monte di Sant’Antonino la tradizione vuole che il Santo Patrono di Castelnuovo vi avesse dimorato durante il pellegrinaggio a Roma. Si possono scorgere alcune porzioni di mura dell’antico eremo con la chiesa altomedievale di Santa Maria inter tre Rivos nome derivante dalle tre acque sorgive che dal monte raggiungono le tre mole sottostanti. divenuta in seguito di Sant’Antonino. Alcune suggestive storie narrano dei nostri territori frequentati sin dal III secolo d.C. da molti personaggi della storia cristiana, che poi divennero papi, santi e martiri. Con l’arrivo della reliquia presso la chiesa di Santa Maria Inter Tre Rivos, il culto si diffuse rapidamente e la chiesa con l’annesso romitorio presero il nome di “Eremo di Sant’Antonino”. Nel 1636, la chiesa viene descritta molto piccola, con un solo altare e spoglia. Annesso alla chiesa vi era un piccolo romitorio a cinque celle su due piani. Accanto all’eremo vi era la vigna, l’orto e un forno per il monaco che vi abitava.
Sotto l’arco dell’abside era l’altare e nella parete dipinti di Sant’Antonino Patrono. Ai lati vi erano due sarcofagi ben disposti. Alla fine dell’ottocento la chiesa fu abbandonata e fino al 1930 fu possibile visitarla parzialmente. Durante la festa in onore del Patrono tutte le funzioni religiose riservate al Santo si svolgevano sull’eremo di Sant’Antonino. Si teneva inoltre il Palio della Stella, a cui partecipavano anche dai paesi vicini. La festa si svolgeva in uno scenario naturale che oggi rappresenta una delle aree paesaggistiche ed archeologiche più interessanti del Parco di Veio.
Dell’antico complesso, una delle maggiori testimonianze altomedievali trattata in numerosi testi, restano soltanto brani dei muri perimetrali ed avanzi pavimentali. Parallelepipedi di tufo dilavano per tutta la costa della collina. Nel complesso sono stati rinvenuti reperti di origine romana che indicano una presenza umana ben più antica del luogo.
Resti della chiesa altomedievale di Santa Maria Inter tre Rivos – Sant’Antonino
Una guida eccellente di questi luoghi è rappresentata dal libro”Cronache dei Santi e delle Confraternite a Castelnuovo di Porto” Presso l’edicola posta nella piazza principale. Con dovizia di particolari sono spiegati tutti i passaggi e i relativi luoghi di culto e storici a Castelnuovo.
Le mole invece sono tre e rappresentano i resti della cultura contadina e del frumento che qui veniva macinato attraverso la forza dell’acqua.
Photo: Andrea Falzini – Luigi Perini
Photo: Parco di Veio
Prima della fonte dell’acqua acetosa un sentiero si inerpica verso il villaggio abbandonato di Belmonte già colonia di Veio, compreso tra i fossi di costa frigida e di sant’Antonino. A spartire idealmente il territorio tra Capenati ed Etruschi era la direttrice che sarebbe divenuta la via flaminia.
Sul pianoro buchi di palo con canaline, testimoniano la presenza di un insediamento a capanne. Restano ben visibili il sentiero di accesso con fossato difensivo e ampie zone con i solchi lasciati dai mezzi di trasporto. In posizione dominante vi sono due pareti residue di una torre a base quadrangolare, probabilmente parte di un castello e porzioni delle mura difensive e della chiesa. Sulle pendici del monte numerose grotte, probabilmente si tratta di sepolture di epoca etrusca riutilizzate in epoca medievale come stalle. Nei dintorni è possibile osservare le canalette per la lavorazione del lino di cui erano abili produttori gli etruschi insieme alle pestarole a Costa Frigida, che erano usate per pigiare l’uva e produrre il vino.
Belmonte rimase abitato fin al medioevo quando forse la peste nera lo spopolò.